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2 Maggio 2025
Podcast / Io non mi rassegno

Blackout in Spagna, il ruolo di rinnovabili, rete e nucleare – 2/5/2025

Dal blackout in Spagna al nuovo accordo USA-Ucraina sulle terre rare, passando per scienza del clima, Trump e conclavi: una puntata densa di energia, geopolitica e attualità vaticana.

Autore: Andrea Degl'Innocenti
blackout spagna

Questo episodio é disponibile anche su Youtube

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Trascrizione puntata

Col passare dei giorni si stanno chiarendo, almeno parzialmente le ragioni del gigantesco blackout che ha colpito la Spagna. E subito, in Spagna è partito un grande dibattito sulle rinnovabili e sulla scelta del governo Sanchez di abbandonare il nucleare.

Lunedì c’è stato questo gigantesco blackout che ha lasciato al buio Spagna e Portogallo per molte molte ore, generando il panico nelle persone. 

All’inizio si era temuto, come prima ipotesi, un attacco hacker. Poco dopo è iniziata a circolare l’ipotesi che il guasto fosse dovuto al meteo estremo che caratterizza la Spagna in questi giorni, con 26 gradi di differenza fra nord e sud del paese. Nei giorni successivi sono state smentite queste prime due ipotesi, e devo dire che questo mi mette in guardia dal mio personale bias di conferma, perché pur con diversi condizionali mi ero un po’ sbilanciato in analisi affrettate nella puntata di martedì. Me lo appunto per il futuro. 

Comunque, quello che sappiamo al momento è che lunedì intorno alle 12:30 la potenza disponibile sulla rete spagnola è diminuita in pochi secondi di 15 gigawatt su 27, una quantità tale da alimentare 15 città di media grandezza. La diminuzione è stata dovuta ai due episodi di disconnessione e in particolare al secondo. 

In pratica, spiega il Post, in tutta Europa l’energia elettrica è trasmessa con una frequenza intorno ai 50 hertz. Gli aumenti e le diminuzioni dell’energia immessa in rete causano la diminuzione o l’aumento della frequenza, ma per ragioni di stabilità e sicurezza la rete può sopportare variazioni di frequenza limitate: per questo esistono dei sistemi di regolazione automatica per scongiurare scompensi e danni. Se la frequenza aumenta, la regolazione automatica stacca dalla rete una parte degli impianti collegati, per diminuire l’energia immessa e così far abbassare la frequenza: per qualche ragione sembra che lunedì troppi impianti si siano staccati in modo automatico.

Le disconnessioni hanno mandato in tilt l’intero sistema elettrico spagnolo perché a quel punto la frequenza è diminuita troppo. Quando succede i sistemi di regolazione prevedono l’attivazione di generatori di energia di emergenza. Col primo episodio di disconnessione il sistema ha retto, con il secondo no, per qualche ragione, e questo ha causato il blackout nazionale.

Ma quindi è colpa delle rinnovabili? Non esattamente. Va detto che un sistema basato principalmente sulle rinnoivabili, e la Spagna lo è, con una produzione di energia rinnovabile che nel 2024 è stata del 56% di tutta l’elettricità nazionale, ha un’inerzia minore. È più soggetto alle oscillazioni.

Semplificando molto, se nei sistemi basati sui combustibili (come le centrali a gas, a carbone o quelle nucleari) decidiamo noi se tenerli accesi e a quale potenza, sul fotovoltaico e l’eolico questo non succede, non siamo noi a decidere se far girare le pale oppure se far attivare le celle, dipende da fattori esterni, dal sole e dal vento. Questo fa sì che la rete sia più soggetta a oscillazioni.

Esistono però delle tecnologie di rete più moderne, e su questo come ci ricorda sempre il giornalsita scientifico Sergio Ferraris nelle varie interviste per INMR+, in Italia terna ha fatto un lavoro eccellente, siamo un’avanguardia mondiale e quello che è successo in Spagna non sarebbe successo da noi. Insomma, il problema non sono le rinnovabili, sa cui non possiamo prescindere, ma delle reti spesso obsolete, che non sono state ammodernate e la mancanza di sistemi di accumulo adeguati che possano fare da cuscinetto.

L’altra domanda che sta circolando in Spagna in queste ore riguarda il nucleare. la destra all’opposizione accusa il governo del socialista Pedro Sanchez di aver troppo frettolosamente intrapreso l’uscita dal nucleare, che invece potrebbe dare stabilità alla rete.  

A questa domanda lascio rispondere Gianluca Ruggieri, ingegnere energetico, divulgatore su Radio Popolare e cofondatore della cooperativa energetica partecipata ènostra, nonché amico di ICC, che intervistato da Lorenzo Tecleme, altro amico di ICC, sul manifesto risponde così:

La Spagna sta lentamente spegnendo le sue centrali nucleari, e il blackout ha inevitabilmente riaperto il dibattito. È vero che più atomo avrebbe evitato il problema?

Chi dice che il nucleare sia indispensabile per coprire il carico di base di un sistema elettrico, o che serva a produrre energia prontamente di fronte ad emergenze come questa, non sa di cosa parla. La sua rigidità – come rigide sono solare ed eolico – è un fatto. Questo poi non è sufficiente di per sé a determinare l’utilità o l’inutilità di questa fonte energetica – quello è un dibattito nel quale intervengono altri fattori – né significa che il nucleare sia responsabile del blackout iberico.

Chiudo l’argomento ricordandovi che al rapporto fra nucleare e transizione energetica abbiamo dedicato ben due puntate di INMR+, se volete ascoltarvele.

A proposito di podcast per abbonati, ieri è stata la festa del lavoro, il 1 maggio, e mai come in questo periodo storico, fra avvento dell’IA e dubbi esistenziali sempre più pregnanti,  è urgente parlare di lavoro. In occasione di questo evento abbiamo quindi scelto di rendere ascoltabile a tutti e tutte la puntata di un nostro podcast per abbonati, condotto dal direttore Daniel Tarozzi, che parla proprio di lavoro.

Vi leggo le parole di Daniel con cui ha introdotto questo contenuto:

Ogni anno, il 1 maggio, parliamo tutte e tutti di lavoro.

Il lavoro va garantito, il lavoro è un diritto inalienabile, la nostra costituzione è fondata sul lavoro.

Ma che cos’è il lavoro? Come sta cambiando?  Come cambierà con l’avvento dell’intelligenza artificiale? Davvero vogliamo continuare a definirci come esseri umani in base all’impiego salariato? E perché le attività produttive non salariate non sono considerate lavoro? Se faccio un orto cosa sto facendo? Se faccio un lavoro che amo, sto lavorando? O il lavoro deve essere qualcosa di “brutto”? 

Lavoriamo gran parte della vita o viviamo cercando lavoro. 

E’ il momento di chiederci dove stiamo andando.

Se cercate delle risposte, o cercate le domande giuste, ascoltatelo.

Mercoledì è stato firmato a Washington un nuovo accordo tra Stati Uniti e Ucraina che riguarda l’utilizzo congiunto delle risorse minerarie ed energetiche presenti in territorio ucraino. Ne parlano praticamente tutti i giornali, per cui vi lascio qualche fonte per approfondire, ma qui prendo le informazioni in maniera un po’ sparsa.

I dettagli sono ancora piuttosto vaghi, ma l’intesa prevede la creazione di un fondo comune per gestire gli investimenti su petrolio e metalli strategici come titanio, grafite e alluminio. Ed è considerata – in qualche maniera – un passo in avanti verso un accordo di Pace.

L’annuncio è arrivato dopo mesi di trattative complicate, iniziate a febbraio ma bruscamente interrotte in seguito a un incontro piuttosto teso alla Casa Bianca tra Trump e Zelensky. Trump allora aveva proposto questa tesi abbastanza irrituale secondo cui i ricavi dello sfruttamento minerario potessero funzionare come una sorta di rimborso per gli aiuti militari finora forniti dagli USA. Una posizione che Kiev aveva rifiutato. Anche perché l’amministrazione Biden aveva foraggiato di aiuti Kiev all’interno di una sua strategia anti-Russia, non certo per beneficenza. 

Poi ci sono stati dei progressivi riavvicinamenti, culminati con l’incontro, molto scenografico e di dubbio gusto (cosa strana per un lord inglese come Trump) durante i funerali di papa Francesco. Ora l’accordo è stato siglato, e in effetti, quella clausola sul considerare gli aiuti americani passati come un pagamento sembra essere sparita: il fondo considererà solo gli aiuti futuri come possibili contributi, e non quelli passati. Questo perché il governo ucraino vuole agganciare il più possibile a doppio filo il sostegno statunitense, anche in vista di un possibile – seppur ancora non imminente – accordo di pace con la Russia.

Ma perché l’Ucraina fa così gola? Perché il sottosuolo ucraino è ricco di cosiddetti “metalli rari”, fondamentali per la transizione energetica e per la produzione di tecnologie avanzate. 

Non sono previste garanzie esplicite di sicurezza per l’Ucraina, ma si parla di un “allineamento strategico di lungo termine” e di sostegno alla sicurezza e alla ricostruzione del paese. Nei prossimi mesi è atteso un secondo accordo, più dettagliato, che definirà meglio la gestione e la ripartizione dei proventi, che dovrebbero essere reinvestiti almeno in parte nell’economia ucraina.

L’accordo- devo dire – è anche un esempio piuttosto chiaro di come funzioni la politica estera di Donald Trump: apertamente predatoria, dichiaratamente “America First”, senza troppi giri di parole. Non c’è il linguaggio diplomatico a cui ci hanno abituato le amministrazioni precedenti: Trump tratta le relazioni internazionali come scambi commerciali, spesso brutali, in cui ogni sostegno va ripagato. 

È un approccio che scandalizza molti, ma che – per quanto cinico – in alcuni casi riesce a ottenere risultati concreti, come appunto il nuovo accordo con Kiev. Una politica estera muscolare, che non si nasconde dietro il soft power, ma che potrebbe pagare lo scotto di risultati immediati con un deterioramento nei rapporti a lungo termine con gli altri governi, che vedono Trump e i suoi come una mina impazzita e imprevedibile.

Mercoledì abbiamo pubblicato su ICC una mia intervista a quello che è uno dei più influenti climatologi mondiali. Michael E. Mann. Che parla proprio di Trump e di come le sue politiche stiamo smantellando alla base la scienza del clima.

 Vi leggo giusto una risposta:

In che modo questi attacchi politici alla scienza potrebbero influenzare le persone, dal punto di vista emotivo o psicologico?

Una delle tattiche di questi attori malintenzionati, come l’amministrazione Trump, consiste nell’utilizzare un approccio di tipo blitzkrieg [una tattica militare che consiste in un attacco rapido e massiccio, mirato a schiacciare l’avversario, ndr] per attuare il loro programma, in modo che le persone si sentano impotenti e cadano nella disperazione. Non cascateci. Dobbiamo reagire. E non solo negli USA: vorrei dire ai nostri amici internazionali in altri Paesi che anche loro devono reagire contro gli elementi autoritari nei loro Paesi che sono impegnati in attacchi alla scienza. Questi attacchi sono un attacco all’umanità stessa.

Trovate l’intervista integrale sotto le fonti.

Qui però volevo condividere con voi un pensiero che ho fatto mentre inserivo l’intervista sul nostro sito e quindi la rileggevo, la sistemavo. Il pensiero è: le politiche di Trump, in un certo senso, sono una prova del nove del fatto che il cambiamento climatico esista e sia di origine antropica. 

Mi spiego: se pensi che il CC sia una bufala, una congiura di chissachì, con la complicità di parte del mondo scientifico, tu dovresti investire nella scienza, finanziare nuovi studi, perché il metodo più efficace che come esseri umani abbiamo socperto per vedere se qualcosa è vero è il metodo scientifico. Fallibile, come tutto ciò che è umano, ma che comunque funziona. 

Ecco: se uno pensa che la sua idea sia vera c’è un solo modo per testarlo: investire nella scienza e chiedere di metterla alla prova. Se invece tu distruggi una scienza alla base non è perché pensi che la tua idea è vera. È perché sai di avere torto, ma quella verità è troppo scomoda e allora preferisci che nessuno la dica. Punto, direi.

E a proposito di crisi climatica, negli ultimi giorni ci sono state molte attività da parte di XR, Extinction Rebellion, in Italia. La campagna #primaverarumorosa è giunta al suo apice e gruppi di attivisti/e hanno occupato le sedi di ministeri e aziende per protestare contro gli accordi del governo sul gas con gli USa e il sostegno a Israele e quindi al genocidio in atto a Gaza. Abbiamo coperto queste azioni con una serie di news su ICC, e a breve pubblicheremo un articolo che tira le somme di queste mobilitazioni.

In chiusura, giusto qualche cosa sul conclave imminente. Perché la situazione sta diventando un po’ comica, per alcuni versi. 

Avevamo già accennato al caso del cardinale Angelo Becciu che voleva partecipare al Conclave anche se Francesco lo aveva estromesso, e che alla fine non parteciperà, pare. Becciu era stato coinvolto in uno scandalo finanziario legato a investimenti opachi del Vaticano, in particolare l’acquisto di un immobile di lusso a Londra. È stato accusato di peculato e abuso d’ufficio per aver gestito fondi della Segreteria di Stato in modo poco trasparente e di aver favorito economicamente familiari e conoscenti. A dicembre 2023 è stato condannato in primo grado a 5 anni e mezzo di carcere dal tribunale vaticano.

Ma poi sono spuntati altri personaggi particolari. C’è il caso Cipriani, del cardinale Luis Cipriani Thorne, 81 anni (dunque non elettore, perché eleggono il nuovo Papa solo chi ha meno di 80 anni) peruviano, che papa Francesco ha sanzionato per abusi sessuali compiuti su un giovane nei decenni passati: e tra le sanzioni gli è stato “proibito di portare abiti e insegne cardinalizie”. Ma nonostante questo Cipriani si è presentato a Santa Maria Maggiore sulla tomba di Bergoglio proprio vestito con l’abito cardinalizio.

E poi c’è John Njue, cardinale kenyano che un anno fa, quando aveva già superato gli 80 anni e con la salute di papa Francesco che iniziava a peggiorare è improvvisamente ringiovanito di due anni, cambiando la sua data di nascita. E quindi oggi potrebbe partecipare al conclave (anche se è bloccato in Kenya per motivi di salute). Storia simile a quella del cardinale Ouédraogo che nell’Annuario Pontificio 2024 risultava nato il 25 gennaio 1945, mentre nell’edizione del 2025 il 31 dicembre dello stesso anno. 

Un po’ come quando nei film americani gli adolescenti cercano di comprare la birra coi baffi finti per sembrare più adulti. Ma al contrario.

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